January 15, 2007

‘Nirvana’ Photographs By Steve Gullick e Stefen Sweet (Introduzione)

LA GENTE DICE CHE I FOTOGRAFI NON MENTONO. CHE STRONZATE.*

E’ raro che io riconosca qualcuno dalle foto. Il modo in cui qualcuno ti lancia uno sguardo, la macchia dell’ombra dell’occhio, il muoversi dei capelli… queste sono le ultime cose che noto di una persona, gli ultimi punti di interesse per me. Che importa qual’è il modo in cui qualcuno invade il tuo spazio, la cadenza nella sua voce quando parla della nuova compilation dei Pixies, la risata nervosa. Io sono un critico musicale. Sento la voce della gente.

Trovo quasi impossibile riconoscere le persone dal loro apparire, anche persone con cui ho speso molte ore insieme e per cui ho assorbito accuse sbagliate. Il modo in cui qualcuno batte le sue palpebre, il modo in cui i pugni sono chiusi e aperti, l’ombra che una chitarra fa quando è alzata in aria per essere spaccata sul pavimento… non ho mai notato questi aspetti della vita. Se lo avessi fatto, forse sarei stato Stephen.

Qui c’è il mio ruolo nei libri di storia. Li odio. Cazzo come li odio.

Odio qualunque cosa significhi che qualcosa cessa di esistere. Non voglio lasciarla andare. Non mi piace l’idea che un momento nel tempo può essere catturato, fermato – in altre parole, diventa un momento nel tempo. Che cosa erano i Nirvana? Una celebrazione di quello che è stato di glorioso nelle nostre vite. Come può essere catturato in un paio di frammenti granulosi? Non si può. Lo so. Ogni risonanza del fotografo resta con il ricevente, anche se qualche volta può aiutare a portare nell’imbroglione sollievo altrimenti ricordi ed idee confuse. Amo le foto in questo libro perché Steve e Stephen erano parte della mia crescita e della vita attraverso la fine degli anni ottanta e novanta. Li odio perché non avrei mai pensato che mi sarei trovato in un museo finché non ero vecchio abbastanza per portare la mia foto di Zimmer in giro. Vivi e impara.

Come on over and do the twist / Overdo it and have a fit / Love you so much it makes me sick / Come on over and shoot the shit’ – Aneurysm

Queste due parole: Olympia e Nirvana. Stanno bene insieme, no?

Musicisti, quando chiedevo che cosea alcune canzoni significassero per loro, qualche volta rispondono pieni di verità e ricordano lo studio in cui è avvenuta la registrazione, il take-away cinese in cui hanno mangiato prima, il numero di volte che ci è voluto per avere un particolare timbro di suono. Posso essere d’accordo ma mi piace il mio glamour. Non voglio la mondanità. Inventa una storia! Divertimento! Sei in una fottuta industria dell’intrattenimento, dopo tutto. La vita si basa sulla percezione. La realtà è quello che conta.

Di sicuro, potrei raccontarti delle storie sui fotografi di questo libro.

Novembre 1993. Mi sono perso nel Massachusetts. Arrivo ad un piccolo, quasi non illuminato aeroporto nel mezzo del nulla. Una macchina a caso si annuncia un taxi e mi porta all’interno nei boschi. Immagina il mio sollievo quando vedo le luci intense di un palazzo dell’hockey luccicare nell’oscurità. Salgo dalla porta e mi presento. Sono Everett True! Il backstage è scomodo ed intimo come sempre, qualche musicista seduto, le solite facce di benvenuto tra la troup. C’era Steve Gullick? Non ne ho idea. Le foto indicano che c’era. Era strano che eravamo lì alla fine. Non stavamo facendo un servizio per la cover di Molody Maker. Non stavamo lavorando per nessuno. Kurt aveva detto con me di ‘venire come un amico, non come un giornalista’, se volevo viaggiare con i Nirvana di nuovo. Così chiesi a Steve di fare delle foto appropriate – foto che gli piacevano, niente di fascinoso, il suo solito genio. Era con il cantante dei Mercuri Rev David Baker, un fatto che dopo dispiacque a Kurt. Io ero con il cantante dei Sebadoh Lou Barlow, un fatto che dopo piacque a Kurt.

Bethlehem e Springfield erano le due località dove Kurt tentò la mia presenza sul palco – urlando nel microfono, cercare di tener testa con la chitarra da mancini di Kurt messa sulle mie spalle all’incontrario, memorie dell’avviso del tour manager Alex McLeod che sarei ‘morto’ se l’avessi distrutta come l’ultima volta. I ragazzi ci guardavano confusi, e Pat Smear si godette le mie azioni false punk come il proverbiale Cheshire. Springfield è dove è stata fatta la mia sequenza favorita di foto dei Nirvana. Steve ha lavorato da Dio, rilassato per una volta, mentre io cercavo di sembrare cool e ho fallito miseramente. Dopo, molti di noi hanno celebrato la nostra affinità facendo un party Queen sul tour bus, dove Krist presentò Steve con un frammento di uno spezzone televisivo per aver fatto la migliore imitazione di Freddy Mercury. Questi concerti erano molto belli. I Bredeers e gli Half Japanese a supporto, Lori suonava un bel violoncello e qualcuno faceva anelli di fumo. Tutti stavano molto meglio di come era stato riportato allora, anche se Kurt viaggiava in un bus diverso da Krist e Dave. Quando arrivammo a New York qualche giorno dopo – Steve volò via, sicuramente per spezzare qualche altro cuore – Kurt mi offrì il pavimento della sua stanza per dormire, ed insistette nel farmi cantare al concerto di quella sera, anche se la mia voce se ne era completamente andata. La mia performance fu in seguito descritta come ‘veramente terribile’. Alex, senza volerlo, fu il migliore tour manager che una band avesse potuto avere.

Ho viaggiato spesso con Steve e Stephen. Tra noi tre probabilmente abbiamo documentato la carriera dei Nirvana più di qualunque altra squadra di giornalisti. Questo significa. Abbiamo preso aerei per l’America, corso rampanti in qualunque bar che incontravamo e con qualunque musicista degnava di divertirli, ed in qualche modo cercavamo di registrare quello che stava succedendo. La gente ricordava quello che avevamo fatto in seguito. Perché? Non ne ho idea, ma forse aiutava che non nascondevamo la nostra individualità. Sembra che il music business è impegnato costantemente in un lungo combattimento per nascondere l’individualità dei suoi protagonisti. Tutto diventa smussato, tutto angoli taglienti e angoli rimossi così non disturbato, specialmente al livello in cui i Nirvana si sarebbero ritrovati. Non c’è posto per l’umanità, ed ogni anima è scoraggiata. Forse questo è perché noi tre stavamo così bene con Kurt, Krist e Dave e qualcuno di quelli intorno. Non ci piaceva fingere persone che non eravamo.

Ci sono foto in questo libro che catturano l’essenza dei Nirvana meglio di quella che avessi mai sperato di fare nella mia scrittura, ma sarei dannato se andrei a dire queste cose. Momenti di debolezza, questo è quello che molta gente cerca. Kurt suona la sua chitarra nel backstage a Springfield. Qualcuno accende una sigaretta di qualcun altro. I tre musicisti sprecano il tempo giocando su un letto al Dalmacia. Krist guarda concentrato. Un gruppo di amici lo fotografa per la camera. Non me ne frega niente.

Dicembre 1989. Tutto l’anno è trascorso in una frenesia di speranza e desiderio. Non potevo credere che così tanti amici americani dai capelli lunghi volevano festeggiare con me. Nella notte del tre, c’erano molti di noi che stavano al lato del palco del London Astoria, aspettando di saltare nella folla durante un momento lento nel concerto dei Nirvana. Dovemmo aspettare un po’. I Nirvana dovevano essere la band di apertura del Lamefest della Sub Pop, ma che importa. Nessuna fanfara, nessuna luce, niente ghiaccio secco, solo un suono che strappava via i nostri cuori. Kurt era, come il Sig. Sweet scrisse, ‘in un vortice di terrore e gentilezza, [e] camminava come se non esistesse niente tranne che suonare e cantare.’ Stanco di aspettare, il gruppo del backstage decise di saltare fuori dal palco comunque – il PR della Sub Pop Anton Brookes, il giornalista di Sounds Keith Cameron, Matt Lukin dei Mudhoney, la montagna umana Tad Doyle ed io. La folla partì come un tutt’uno quando vide Tad che caricava verso di loro, ed il cantante pianò disteso sulla testa dello sfortunato bassista, che poi dovette essere raccolto dal pavimento. I Mudhoney furono impareggiabili quella sera, al picco del loro rude potere. Tad era un feroce intrattenitore come sempre. Già c’era qualcosa di così confuso e contrario dei Nirvana, non puoi aiutare ma fare attenzione.

Ottobre 1990. Ogni rock band emergente USA stava al Dalmacia, particolarmente quelle seguite da Anton. Situato nel Bush di Shepherd, era famoso per chiudere le porte ai gruppi che ritornavano troppo tardi. Non era certo il Four Seasons. Nel periodo in cui Stephen fece questi scatti, i Nirvana erano già stabilizzati nel circuito del UK live. Kurt recitò da rock star scocciata verso Stephen, rifiutando di cooperare verso qualcuno che vedeva come parte della macchina dell’industria musicale. La situazione fu salvata solo dal solito buon umore di Krist, che scherzava con il copriletto… ed il fatto che Stephen non era come Kurt lo aveva descritto. Il concerto al Nottingham Polytechnic fu di un raro divertimento. Stephen ed io eravamo eccessivamente ubriachi. Kurt mi fece salire sul palco alla fine con la band alla voce e alla chitarra mentre lui e Krist colpivano la batteria. La folla guardava confusa, ma entrarono alla perfezione nello spirito della festa quando i due musicisti dei Nirvana finirono con distruggere gli strumenti. Dopo, i Nirvana convinsero la loro band di supporto le L7 che Stephen ed io non eravamo giornalisti lì per intervistarli, ma solo degli amici e perditempo. Ragazzi, come se la presero quando scoprirono la verità.

Partiamo dal principio. Anton Brookes della Bad Moon PR mi spedì una manciata di singoli della Sub Pop alla fine dell’ ’88. Mi piacquero, ritrovandomi a ballare come un fan dei Birthday Party sul tavolo nella stanza delle recensioni del Melody Maker, specialmente i tre sacri dei Mudhoney, Nirvana e U-Men. Anton volle un paio di giornalisti per volare a Seattle nel febbraio 1989 per coprire la nascita della scena di Seattle. Volle i Stud Brothers, iconoclasti colleghi miei (e migliori scrittori, allora). Erano due di loro, troppo costoso. Perciò andai io.

In quel periodo, divenni editore delle recensioni al MM. L’editore artistico Brett Lewis mi istruì di portare qualche nuovo fotografo. Era più grande e irascibile di me (tirava anche dei cazzotti se rovinavi le sue droghe), così obbedì. Uno di questi ragazzi era uno studente drammatico e pulitore di finestre chiamato Stephen Sweet. Successe che stavo uscendo con una studentessa d’arte a Newcastle, e a Geordie Stephen qualche volta mancavano i suoi vecchi amici e famiglia. Era indulgente con le mie fantasie di essere una rockstar non denunciando le miei buffonate, perciò finimmo col fare molti viaggi a nord insieme.

Settembre 1992. Stephen ed io dobbiamo fare un viaggio in taxi di due ore in LA per un polveroso magazzino pieno di costumi ammuffiti del diavolo e dell’angelo perché stavamo pensando che Kurt e Courtney insieme sarebbero stati una perfetta copertina di Natale per Melody Maker. Nostro sbaglio. La coppia fu d’accordo con una intervista insieme semplicemente perché sono io ed io li ho fatti conoscere, ma posare insieme? No. Stephen è troppo gentile per insistere o essere spione, ma Kurt disegna Diet Grrrl sullo stomaco di Frances Bean e lui e Courtney posano separatamente con la loro bambina, perciò gli ufficiali giudiziali restarono alla sua porta per qualche mese. La sessione e l’intervista avvennero alla casa hollywoodiana della coppia, situata a metà di una collina con un ascensore. Il mio amico Eric della band di Courtney è lì, divertendo Frances. Un album di Mavis Staples è messo all’inizio della collezione di dischi di Kurt. E’ metà sveglio quando arriviamo, ma Courtney è tanto viva e puttanella come sempre. Per l’intervista divido il letto con la coppia, aprendo le lettere dei fan e guardando Ren & Stimpy alla televisione. Questo successe il pomeriggio. Non ricordo cosa successe a Stephen. Forse il servizio fotografico avvenne in un altro pomeriggio. Sedie di vimini furono coinvolte, forse. Comunque, avemmo l’esclusiva e fu molto simpatico, te lo posso dire.

Cominciai ad usare Steve Gullick per Melody Maker nel 1991. Fu perché Stephen ed io ci sentivamo in colpa per aver bevuto nel mini-bar della sua stanza d’hotel di Valencia la prima volta che ci incontrammo. Lo stesso viaggio, tutti noi ballammo sul palco di fronte a 500 ragazzini spagnoli, molto alcool e delirio – e Steve era probabilmente uno dei pochi alla nostra festa quel weekend che non mi tirò un pugno. (Non come Stephen.) Lo devi ammirare questo. Quando ci incontrammo di nuovo, fu a Blackfriars Bridge vicino la King’s Reach Tower e Steve aveva appena sentito che il suo giornale, Sounds, aveva chiuso. Mi piaceva e mi piaceva Sounds. Perciò gli chiesi di venire a MM. Come non avrei potuto? Steve scattava con una intensità che poche persone nelle loro menti giuste avrebbero potuto mai ottenere. Era non rasato, giovane, e fascinato nella sua anime (i.e. decente). Anch’io mi stavo sbattendo. Erano le 10 del mattino e ancora non avevo bevuto niente.

Agosto e Settembre 1991. L’anno precedente è stato stupendo, ma il ’91 era ancora meglio. I Nirvana avevano raggiunto la punta del loro successo personale, abbastanza grande da attrarre l’attenzione ma non troppo grande da suonare in locali piccoli. Distruggevamo insieme le stanze d’hotel. Mi fiondai nel loro camioncino del tour. Fui trascinato sulle spalle di Krist per miglia a LA con una borsa di plastica tenuta intorno ai miei orecchi per raccogliere il vomito. Nevermind fu registrato, e anche se la sua produzione ora suona come i Motley Crue meno offensivi, ci ha certamente sbalordito in quel momento. La performance al Reading Festival fu eccellente ed anche divertente. Non era ancora il 1992 (significa che il management dei Nirvana non aveva ancora bannato ogni persona a cui avrebbe potuto piacere la band dalla loro vicinanza – eccetto me, certo) e Steve poteva accedere al palco mentre Kurt faceva il suo solito casino. Si lanciò sulla batteria, cantò con Eugene dei Vaselines e vagabondava nel backstage con il braccio al collo.

Incontrai Steve, ed i Nirvana, di nuovo a NYC. Steve era lì per fare la copertina degli Candyskins per MM con un future editore del Select, ed io stavo rischiando il mio braccio come al solito – volato in America sotto false pretese perché che avrei portato un’intervista dei Nirvana ai miei editori che avevano finalmente cominciato a capire quanto grande il trio di Aberdeen (NON di Seattle) stesse per diventare. Ero lì per intervistare le Breeders. Non sapevo neanche su che costa dell’America i Nirvana fossero in quel momento. Così successe che i Nirvana stavano suonando al Marquee Club di New York la sera dopo che arrivai, cosa che Steve ed il suo collega mi informarono alle 4 del mattino quel giorno. Tutte le chitarre di Kurt rotte e forse anche il basso di Krist, e per la fine, Mr. Cobain finì col cantare alla batteria di Dave. Come Mr. Gullick memorabilmente rimarcò al tempo, ancora suona come un fottuto coro. Presentai Kurt a Kim Deal, poiché era un grande fan dell’album Pod delle Breeders. Mi invitò a viaggiare con la band, e cantare e ballare e bere e parlare e fare tutte queste cose insieme coperto di viola. Fu un bel periodo.

Non mi piacciono molto i fotografi. Non capisco la loro utilità. Mi confondono e mi stupiscono, e non in una maniera positiva. Ho sempre sperato che lo scopo di tutto il mio scrivere fosse un’istantanea sfocata di un momento che in tutta probabilità non successe mai, certamente non nel modo in cui la mia mente lo ricorda. I fotografi non hanno nemmeno il dono di essere così. Sono troppo nel particolare per i miei gusti. Che importa. Mi piacciono le foto dei due Steve perché, insolitamente, penso che nessun altro avesse potuto prenderle. Mi stai dicendo che avrebbe interagito con qualche fottuto politico o camaleonte senza’anima allo stesso tempo? ‘Fanculo. Senza dubbio si fidava di Stephen e Steve perché erano con me, ma certamente non era l’unico segreto dietro queste fotografie. Steve e Stephen hanno l’anima, e che l’anima è evidente in ogni pagina che sfogli qui, disinteressato del tuo confort moderno.

Giugno 1992. Mi sono rasato la testa, risultato di una scommessa da ubriaco sul basket con i Urge Overkill a Chicago una settimana prima. Courtney era con noi nel tour scandinavo, cosa che non piacque molto a Krist e Dave. I tre di noi – Kurtney e io – camminavamo lungo il perimetro del recinto esterno dello stadio, confiscando bootlegs e creando disordine. Dopo, fui l’unica persona autorizzata ad entrare nella camera d’albergo della coppia. L’intervista tra i tre membri dei Nirvana fu tesa. Era come se era la prima volta che i tre comunicassero da mesi. Kurt non volle che Steve lo fotografasse con i nuovi capelli spuntati, perché non voleva essere riconosciuto allo postazione dei Nirvana del Reading Festival che sarebbe arrivato qualche settimana dopo. La coppia arrivò ad un compromesso, che includeva Steve che disegnava i capelli lunghi su Kurt nella fotografia live che fu usata in Melody Maker per accompagnare una delle recensioni più dannatamente belle che avessi mai scritto.

Ricordo di sentire il suono della band di supporto Teenage Fanclub che si riscaldava con una copertina Big Star sul palco all’aperto di fuori, ed in contrasto con il soundcheck dei Nirvana, un membro della crew faceva le parti vocali di Kurt poiché non si era fatto vedere. O è un comportamento normale per la grandi band? Gullick ed io portammo il resto della crew e la band, meno Kurtney, su una collinetta dove passammo il tempo e ridemmo. Tutti suggerimmo che potevamo uscire e suonare. Dopo, tutto l’entourage, inclusi i Teenage Fanclub e condotti dal tecnico delle chitarre Big John (formalmente degli Exploited), si divertì al karaoke fino a molto tardi in verità. Il giorno seguente, vidi un cover band ‘grunge’ in un bar locale fare fiduciose interpretazioni di tutti i classici popolari – Soundgarden, Stone Temple Plagiarists, Pearl Jam – tutti tranne i Nirvana. L’ultimo cantavano in una voce ‘femminile’ intonata alta. L’illazione era ovvia. I Nirvana erano froci.

Ho viaggiato spesso con Stephen e Steve per raccontare i Nirvana. Se scrivessi questa frase abbastanza spesso forse otterrei un certo ritmo e stile e poi potremmo alla fine cambiare argomento.

Luglio 1993. Di nuovo New York, e Stephen ed io stavamo assistendo ad un altro New Music Seminar. Non ricordo se era quello in cui mi intrufolai con un pannello con un paio di occhiali da sole luccicanti e a testa rasata, mi scolai un intera bottiglia di vodka rifornito dalle ragazze della fanzine Ben Is Dead, e lanciando insulti a tutti quelli che stavano per un ora intera. Forse. Melody Maker alla fine mandò gli Stud Brothers per finire il lavoro che gli era stato promesso molto tempo prima, e Stephen stava facendo le foto. In uno degli scatti, Kurt sta leggendo la mia recensione di MM del concerto Neil Young/Pearl Jam che dopo causò il nemico acerrimo Eddie Vedder a infuriarsi in un intervista di Q. Mi sedetti nell’ingresso dell’hotel di NYC dei Nirvana e aspettai Kurt che avesse fatto con tutti questi noiose interviste così che potevamo uscire. Poi, molti più giornalisti affermati tentavano di parlare con me (cosa che certamente non importa più ora). A mia insaputa, Kurt stava maltrattando i miei amici, di nuovo contando alla rovescia i minuti in cui a Stephen fu permesso con la band, ma fanculo a queste manie da rock star. Sapevamo chi eravamo e che anima avevamo, e non ci chineremo mai per fare qualcosa di merda come MTV Unplugged. Stephen fece dei bei scatti sotto violenza nell’orribile disciplina dell’ora dell’industria musicale., sull’angolo della West 42 prima che diventi tutto Disney. Non che avessi bisogno che te lo dica.

No, non voglio nessuno di questo. Tutto quello che volevo fare nel mio scrivere era catturare l’entusiasmo che provavo per la musica, l’entusiasmo che ha mosso le mie gambe a prendere strane direzioni mentre guardavo le band. Forse questo è il fattore di motivazione di Steve e Stephen. Lo sospetto fortemente. Altrimenti, perché mi avrebbe importato di viaggiare con la coppia così frequentemente? Giocavamo a Tetris nei viaggi d’aereo, Tetris e cribbage – e nessuno dei fotografi potuto non bere quando veniva lo spirito. Se lo avessero fatto, mi avrebbe dato ragione per riflettere. Ci occupiamo dei nostri simili, e questo includeva i Nirvana. Il sentimento era reciproco, ne sono sicuro. Venivo da Olympia e così Kurt e Krist, e perciò ci capivamo uno con l’altro. Perciò queste foto funzionano dove molte altre no. O forse è solo una mia percezione – ero lì, ricordi? Forse tutto questo è inutile. Non ho un modo per raccontarlo.

Dicembre 1993. Un infelice Kurt mi dice che ha dovuto escludere i Tad dal tour americano dei Nirvana per un litigio tra la ragazza di Tad e la sua. ‘Che cosa avrei dovuto fare?’ mi continuava a chiedere. Steve ed io siamo in città con Anton di nuovo, cercando di organizzare un incontro per la copertina natalizia del Melody Maker tra Kurt ed Eddie, bacio e trucco. I Pearl Jam vilmente rifiutarono di suonare allo speciale di MTV al Pier 48 all’ultimo minuto, perciò eravamo liberi di girare per ore. Fumammo marijuana con i Cypress Hill e soffocammo gli sbadigli nella direzione del pomposo management di MTV. Alla fine, preparammo un intervista con Kurt e Kim Deal. Steve fece precisamente dodici foto per fare la copertina, ma questa volta lo sbaglio è con Kim stonata, non Kurt. Il concerto fu bello. Non mi è mai piaciuto l’angelo della cover di In Utero, sebbene è pretenzioso, ma non volevo far scoppiare il sogno di nessuno. Eric degli Hole, il babysitter Cali DeWitt ed io tentammo di farmi salire sul palco durante il set della band indossando una maschera di Eddie Vedder, ma il management subitoci fermò da tali scemenze. E’ l’ultima volta che Steve ed io vediamo Kurt vivo, anche se il cantante mi telefonò a casa qualche giorno dopo natale, ricordandosi di un discorso enfatico anti-natalizio che gli avevo fatto a lui e Kim. ‘Sei l’unico dei nostri amici che abbiamo pensato che ci sarebbe stato,’ gridò, ridendo. ‘Come stai? Ancora miserabile? Buon fottuto Natale!’

Questo è un libro di immagini dei Nirvana, fatto da due uomini con anima e attitudine. Sì, questa è una raccomandazione.

*Tratto da ‘Nirvana’ Photographs By Steve Gullick e Stefen Sweet, introduzione di Everett True.